L’uscita dalla Ue spingerà gli accordi commerciali con Usa e Asia

Testata: “Avvenire”. Data: 11/13/2018.

Expense Reduction Analysts approfondisce le ipotesi in merito all’uscita del Regno Unito dalla UE e l’impatto sull’economia e le imprese. «L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, nota anche come Brexit, sarà un evento senza precedenti, che comporterà costi di gestione e conseguenze economiche a oggi non prevedibili nel dettaglio – ha spiegato Carlo Maraz Galassi, Country Director Italia di Expense Reduction Analysts -. La Brexit comporterà una situazione difficilmente gestibile per il Paese in termini di aumento di costi per le aziende e per il sistema nel suo complesso».

Se il giorno X della Brexit è già segnato sul calendario – venerdì 28 marzo 2019 – i dettagli dell’uscita dall’Ue non sono ancora stati definiti; di conseguenza, si può solo ipotizzare l’impatto del divorzio sull’economia e sulle imprese.

I colloqui per definire i futuri rapporti tra Uk e Ue sono già partiti: è previsto un periodo di transizione che terminerà il 31 dicembre 2020 e avrà proprio lo scopo di costruire relazioni più agevoli nel post Brexit. Allo stesso tempo, il Regno Unito stringerà i suoi nuovi accordi commerciali, che dovrebbero diventare effettivi il 1 gennaio 2021.

Nel 2016 l’economia britannica, nota uno studio della società di consulenza Expense Reduction Analysts, ha visto una crescita e nel 2017 è rimasta sorprendentemente stabile. Un risultato dovuto soprattutto al deprezzamento della sterlina, che ha significato un aumento dell’interesse internazionale per l’export della Gran Bretagna. Il rovescio della medaglia è che ovviamente i beni importati sono diventati sempre più cari per le imprese britanniche. Secondo le linee guida ufficiali del governo, le conseguenze negative dell’uscita dall’Ue sarebbero compensate dagli accordi commerciali che il Regno Unito stringerebbe con colossi come Usa, India e Cina. Ma nonostante l’ottimismo sui possibili accordi, da più parti, anche tra i membri del Brexit Committee, si spinge invece perché l’Uk resti a tempo indefinito nell’unione doganale.

Ecco i quattro scenari che si potrebbero delineare.

Norway Deal.

Il Regno Unito resterebbe membro dell’Efta (European Free Trade Organization) e dell’Eea (European Economic Area, il mercato unico). L’accordo includerebbe la libertà di movimento per beni, capitali, servizi e persone. Il costo stimato per il governo britannico sarebbe di 17 miliardi di sterline al 2033-34.

Canada Deal.

L’accordo prevederebbe la rimozione del 99% dei dazi doganali sui beni europei, con l’eliminazione delle tariffe agricole in entrambe le direzioni, ma non ci sarebbe il “passaporto finanziario”, il che implicherebbe qualche ostacolo al libero commercio. Non ci sarebbe la richiesta di contribuire al budget europeo, di rispettare le regole della Corte di Giustizia europea o consentire libertà di movimento. Il costo stimato per il governo britannico sarebbe di 57 miliardi di sterline al 2033-34.

No Deal.

L’Uk aderirebbe alle regole del World Trade Organization, con nessun accordo specifico per beni e servizi, e probabile imposizione di dazi e controlli ai confini, che causerebbero ritardi alla produzione e all’offerta. Uno scenario che, secondo il Centre for Economic performance, potrebbe provocare un calo del 40% del commercio tra Ue e Uk. Il costo stimato per il governo britannico sarebbe di 81 miliardi di sterline al 2033-34.

UK Bespoke Deal.

Un accordo su misura, che però sembra un’opzione poco percorribile: potrebbe significare il no a un “hard border” con l’Irlanda e agevolazioni per il commercio. Il costo stimato per il governo britannico sarebbe di 40 miliardi di sterline al 2033-34.